Il
2 gennaio 1812 venne aperta la Casa d’industria nel nuovo edificio in
campo San Lorenzo per provvedere a chi momentaneamente si trovava senza
lavoro e non poteva quindi sostentare sé e la propria famiglia, scongiurando
così che dovesse mendicare o potesse compiere atti delittuosi.
Si trattava di una casa di lavoro, sul modello delle Case d’industria progettate
in Inghilterra e diffuse nel Settecento in vari paesi europei. Serviva al
mantenimento e alla reintegrazione della manodopera disoccupata, sgravando
l’onere dagli imprenditori alla assistenza pubblica.
Poteva essere frequentata
da uomini e donne senza impiego appartenenti alle classi povere del Comune di
Venezia, dai fanciulli che non avessero ancora compiuto 14 anni, purché nati a
Venezia e vaccinati, e da bambini, che non avessero ancora 10 anni, purché
accompagnati da un parente.
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campo San Lorenzo: sulla
sinistra la Casa d'industria (1859) |
In questa casa di lavoro si preparavano stuoie,
si filava la canapa, si tessevano tele; c’era una filanda, una lavanderia.
Alcune donne venivano mandate a servizio nelle
case padronali, mentre gli uomini erano impiegati nella pulizia delle strade
della città e nella cura dell’illuminazione pubblica a olio.
Essa, comunque, non rappresentò mai un elemento di concorrenza e di danno per le
manifatture locali, sia perché, di fatto, i prezzi di quanto prodotto furono
sempre determinati a favore del privato, sia per l’utilizzo preminente della
manovalanza nei servizi di utilità pubblica e di assistenza. Anzi, i passivi di
bilancio dell’Istituto furono oggetto di indagine per più di una commissione
d’inchiesta.
Per i bambini, nella casa dell'industria c’era una scuola elementare,
un’officina di cartoleria dove un artiere insegnava loro il mestiere, ma anche
un asilo per i più piccoli che sarebbero rimasti soli mentre le madri erano al
lavoro nello stabilimento dove, ogni giorno si raccoglievano circa 500 persone.
Le visite pastorali registrano con preoccupazione una condizione morale molto
precaria e assolutamente inadatta all’accoglienza di fanciulli e bambini; mentre
del disordine e della sporcizia nello stabilimento testimoniano le relazioni
ufficiali all’imperatore negli anni quaranta dell’Ottocento.
Chi lavorava nella Casa d’industria aveva diritto, a mezzogiorno, a una razione
di pane e minestra e, per soli 50 poveri, c’era un pasto serale; si trattava
spesso di pan raffermo o biscotto, quello stesso che, prodotto dal forno
dell’Istituto, era rimasto invenduto.
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