1. Perché classificare e protocollare la documentazione? L’archivio della parrocchia postconciliare tra funzionalità di gestione e memoria delle comunità ecclesiali Circolari, avvisi, preventivi, richieste di atti in copia, inviti, lettere, convocazioni, verbali, controversie… Sul tavolo dell’ufficio parrocchiale arrivano in quantità i più diversi tipi di carte. Dallo stesso tavolo molti ne partono. Messaggi talora, ma non sempre, più informali giungono e partono pure con la posta elettronica. L’accumularsi della corrispondenza e delle altre carte, se non governato a tempo debito, se non gestito con criteri opportuni, può dare adito a numerosi inconvenienti. Il più banale, ma forse il più ricorrente, è quello di ritrovare con troppa fatica, o in certi casi di non ritrovare affatto carte ricevute o spedite qualche tempo prima, e che ora servono di nuovo: a volte solo per sapere come riprendere una pratica o una corrispondenza già avviata in passato, ma a volte anche per motivi giuridicamente più rilevanti, come attestare un diritto, o poter dimostrare di aver adempiuto ad un certo obbligo. Tenere sotto controllo l’archivio corrente, dunque, fare in modo che esso si incrementi e che cresca possibilmente in modo ragionevole, ordinato e logicamente strutturato. Si tratta certamente di un impegno e di una responsabilità che oggi noi abbiamo perché in un futuro più o meno lontano anche questa documentazione possa contribuire a ricostruire la storia delle nostre odierne comunità parrocchiali, delle donne e degli uomini che vi fanno parte, delle loro idee, dei loro progetti, dei loro problemi, delle loro sofferenze e delle loro speranze. La storia della Chiesa veneziana, e la più ampia storia della cultura, tante biografie e tante indagini su opere d’arte e d’architettura più o meno famose, ad esempio, non potrebbero oggi essere ricostruite se nei secoli i parroci veneziani non avessero portato adeguata cura ai loro archivi, tutt’oggi conservati e intensamente consultati quale prezioso bene culturale presso le parrocchie stesse o nell’Archivio storico del Patriarcato di Venezia. Chi produce, chi conserva l’archivio odierno delle parrocchie mette dunque le basi perché anche queste carte, divenute con il passare del tempo veri e propri beni culturali ecclesiali, possano costituire le fonti per una storia come tradizione vivente. Ma l’adozione di alcune condivise avvertenze pratiche nella gestione dell’archivio parrocchiale corrente può avere delle conseguenze benefiche soprattutto nella più generale trattazione delle molte attività che ruotano attorno all’impegno di conduzione di una parrocchia. L’archivio ne costituisce infatti in qualche modo, se non lo specchio, certamente un’informazione di sintesi, e può diventare un importante strumento, nelle mani del parroco e dei suoi collaboratori, al servizio del governo pastorale. L’archivio inoltre – non dobbiamo dimenticarlo, anche se i risvolti amministrativi, giuridici e contabili dell’attività del parroco possono non essere per alcuni fra i più entusiasmanti – deve poter essere consultato e deve poter produrre adeguata documentazione, redatta con le formalità pertinenti, in caso di attestazioni di diritti, di certificazioni ufficiali, di riscontri contabili. Viceversa, se trascurato o se impostato secondo criteri soggettivi o estemporanei, l’archivio arriva talora a costituire un imbarazzante intralcio, se non un peso o addirittura un danno per la funzionalità dell’attività della parrocchia. Come muoversi allora? Alcuni accorgimenti ci sono suggeriti dalla generale pratica di gestione della documentazione pubblica, anche di quella ecclesiastica, così come si è andata consolidando nel corso di una lunga tradizione le cui origini risalgono all’inizio del xix secolo. I parroci veneziani dell’Ottocento ad esempio, anche a motivo di alcuni tratti della formazione e delle incombenze del clero a quel tempo, parevano ben inseriti nella cultura amministrativa dell’epoca, come ci documenta l’immagine (che faceva pure da sfondo al manifesto della giornata presbiterale del 17 maggio 2001) qui sotto riprodotta. Il parroco di Santi Giovanni e Paolo, in questo caso, ha ricevuto dalla Congregazione municipale, ossia dall’Amministrazione comunale una circolare relativa all’obbligo di dare istruzioni «dall’altare, nei momenti di maggior concorso» a proposito di una generale vaccinazione contro il vaiolo, e di esporre l’avviso alla porta della chiesa.
Quel che ci interessa ora evidenziare è che il diligente parroco annota sul retro del documento la data della sua ricezione, il 12 agosto 1859, di sette giorni posteriore a quella della sua emanazione,
e vi appone il numero progressivo corrispondente alla registrazione dell’atto nel suo registro di protocollo, impostato secondo una progressione cronologica che lega in qualche modo ogni documento in un’unica sequenza con quelli che lo precedono e quelli che lo seguono.
La registrazione a protocollo fa fede dunque che il documento è arrivato, e che è arrivato a quella data. Lo zelo del parroco veneziano si spinge ancora oltre, annotando sulla circolare due giorni dopo, a prova dell’adempimento di quanto richiestogli dall’autorità pubblica: «Essendo stato esposto l’avviso alla porta della chiesa, passi agli atti». Il documento, esaurita per allora la sua attività, viene trasferito nell’archivio.
Dagli archivi delle fabbricerie parrocchiali ottocentesche ricaviamo poi come la documentazione venisse in aggiunta classificata, ossia venisse suddivisa entro le partizioni logiche (corrispondenti pure ad un ordine fisico) in cui si scandiva allora il titolario – termine su cui si tornerà più oltre – delle fabbricerie parrocchiali. In quell’epoca così come oggi, dunque, la documentazione in arrivo, alla pari di quella in partenza dall’ufficio parrocchiale, doveva ricevere una sua classificazione, venire cioè attribuita ad una o ad altra classe del titolario. Tale attribuzione guiderà successivamente la collocazione della carta o della pratica entro l’apposito fascicolo o entro il faldone dell’archivio. Anche la documentazione a registro, così importante negli archivi parrocchiali, può essere ricondotta ad alcune partizioni del titolario, individuando tipologie documentarie che vengono a costituire vere e proprie serie o sottoserie entro cui registri e volumi si dispongono in modo cronologicamente consecutivo. I documenti più rilevanti, specie dal punto di vista giuridico e amministrativo, dovrebbero inoltre essere tutti protocollati, collegati cioè con un numero progressivo al registro di protocollo che ne attesti ricezione e partenza. Si tratta di operazioni che possono avvalersi di strumenti tradizionali, quali registri cartacei, timbri, etichette, o anche di strumenti informatici, appositamente predisposti per gestire procedure di tal genere. Quella che non cambia, e che dev’essere possibilmente condivisa, è l’impostazione logica di queste operazioni, lo schema formale entro cui assegnare i singoli documenti e attorno al quale provocare la crescita strutturata dell’archivio. Riprenderemo più oltre il quesito relativo a quali documenti classificare, quali in aggiunta protocollare, quali infine non conservare per niente, cioè sottoporre ad uno scarto che non deve tuttavia essere casuale o improvvisato. Tentiamo per ora di vedere come può funzionare in concreto la procedura di classificazione di quella documentazione che abbiamo all’inizio rievocato nel suo accumularsi sul tavolo del parroco, e come ci si debba regolare quando si ravvisi la necessità di protocollare i documenti. Per fare questo è inevitabile tuttavia che ci si confronti con uno schema di titolario di archivi parrocchiali correnti. |
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