6. Fra consultazione e tutela della riservatezza

Nella gestione e tenuta dell’archivio parrocchiale, uno degli aspetti che non si può trascurare è quello della tutela della riservatezza, con specifico riferimento ai dati personali contenuti nella documentazione parrocchiale.

Si tratta, per evitare confusioni, di un problema diverso da quello – sul quale torneremo più oltre – legato ai limiti cronologici di consultabilità al pubblico dei documenti, che distinguono convenzionalmente le carte passate all’interesse prevalente della ricerca storica da quelle recenti, utilizzate nella pratica corrente dall’ente che le ha prodotte, dunque non ancora disponibili al pubblico, a prescindere dal fatto che contengano o meno dati personali. Tuttavia, anche l’esigenza della privacy può interferire con il limite cronologico di consultabilità.

Il problema della privacy è certo uno degli elementi, ma non l’unico, di valutazione nell’ipotesi di autorizzazioni speciali alla consultazione di settori di documentazione recente, per motivi di ricerca storica, genealogica o altri.

Quanto disposto in tempi recenti sulla privacy dalla legislazione statale e da quella canonica deriva non soltanto da una rinnovata sensibilità verso il problema e all’ottemperanza alla normativa europea, ma anche da una esigenza dettata dalla attuale facilità con cui si costituiscono e sono disponibili banche dati contenenti informazioni personali nei diversi ambiti dell’agire umano.

È necessario allora che anche chi produce e conserva un archivio parrocchiale conosca e applichi la normativa vigente. In Italia, per la Chiesa cattolica, la tutela della privacy è disciplinata da un duplice ambito di norme: dalla normativa statale (con le particolari modulazioni di cui più oltre) per il trattamento sia di dati comunicati o diffusi all’esterno della Chiesa, sia di dati di natura non religiosa; dalla normativa canonica per il trattamento di dati relativi agli aderenti alle singole comunità o gruppi e alle persone che hanno contatti per finalità religiose.

Che cosa prevede la normativa statale

In ambito statale, testo fondamentale di riferimento, a cui si deve la normativa sul tema della privacy nell’ordinamento giuridico italiano, è il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, «Codice in materia di protezione dei dati personali», entrato in vigore il 1° gennaio 2004 e contenente in allegato il «Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici», approvato con provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali 14 marzo 2001, n. 8/P. Il codice della privacy raccoglie la normativa emanata a partire dal 1996: si tratta in sostanza di un testo unico delle norme nazionali relative alla protezione dei dati personali che sostituisce e abroga la normativa previgente, tra cui la legge 31 dicembre 1996, n. 675, «Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali», e il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 281, «Disposizioni in materia di trattamento dei dati personali per finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica». Il codice è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2003, supplemento ordinario n. 123/L; nel frattempo esso ha già subito alcune piccole modifiche e si rinvia – per la consultazione del testo aggiornato – al sito del Garante della privacy (www.garanteprivacy.it) alle pagine relative alla normativa italiana.

 

Si riportano di seguito, in ogni modo, le linee fondamentali delle norme, rammentando che le esigenze di sintesi comportano inevitabili semplificazioni.

Principio fondamentale è che chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano: ne consegue che il trattamento dei dati deve svolgersi nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità, della riservatezza, dell’identità personale. La norma distingue i dati in dati personali, dati sensibili e dati giudiziari. Sono definiti dati personali le informazioni relative a una persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, compreso un numero di identificazione personale. Sono, invece, dati sensibili i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. Sono, infine, dati giudiziari i dati personali idonei a rivelare provvedimenti in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi del codice di procedura penale.

I dati vanno trattati in modo lecito e secondo correttezza, raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi; devono essere esatti e – se necessario – aggiornati, pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati, conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. L’interessato deve essere preventivamente informato sulle finalità e sulle modalità del trattamento dei dati: si parla, al riguardo, dell’obbligo dell’informativa. Il trattamento dei dati, presso i privati o gli enti pubblici economici, può avvenire soltanto previo il consenso espresso dell’interessato; esso non è invece richiesto per alcune fattispecie giuridiche, tra le quali: gli adempimenti ad obblighi di legge; la compilazione di pubblici registri; le indagini penali; gli esclusivi scopi scientifici o statistici, o gli esclusivi scopi storici presso archivi privati. L’interessato ha il diritto di conoscere l’esistenza di trattamenti di dati a suo carico, di accedere ai dati che lo riguardano, alla rettifica, alla cancellazione, all’integrazione, all’aggiornamento dei dati, e ha diritto di opporsi al trattamento in tutto o in parte.

Al termine del trattamento i dati sono:

- distrutti;

- ceduti ad altro titolare purché destinati a un trattamento compatibile con gli scopi per i quali sono raccolti;

- conservati per fini esclusivamente personali e non destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione;

- conservati o ceduti ad altro titolare, per scopi storici, statistici o scientifici, in conformità alla legge, ai regolamenti, alla normativa comunitaria e ai codici di deontologia e buona condotta.

Sono considerati di rilevante interesse pubblico le finalità relative ai trattamenti effettuati da soggetti pubblici per scopi storici, concernenti la conservazione, l’ordinamento e la comunicazione dei documenti detenuti negli archivi di Stato e negli archivi storici degli enti pubblici. Il trattamento per scopi storici è compatibile con i diversi scopi per i quali i dati sono stati in precedenza raccolti o trattati, ma i documenti contenenti dati personali, trattati per scopi storici, possono essere utilizzati, tenendo conto della loro natura, solo se pertinenti e indispensabili per il perseguimento di tali scopi (i dati possono comunque essere diffusi quando sono relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall’interessato o attraverso suoi comportamenti in pubblico).

I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento solo col consenso scritto dell’interessato e previa l’autorizzazione del Garante; infine, il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge, in cui sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili, e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite.

 

È utile ricordare (e qui si fa esplicito riferimento ad alcune riflessioni tenute ai cancellieri delle diocesi del Triveneto il 9 ottobre 2001 da S. E. mons. Carlo Redaelli, cui queste pagine si sono ampiamente ispirate) che, se la prima fase della legislazione italiana sulla privacy non parve particolarmente attenta alle peculiarità degli organismi religiosi e al particolare rapporto di libera adesione ad essi e alle loro attività, come pure sembrò non tener presente la sovranità e indipendenza dell’ordinamento della Chiesa Cattolica (art. 7 della Costituzione e art. 1 dell’Accordo di revisione del Concordato del 1984) e delle altre confessioni religiose, che sono come tali soggetto di intese con lo Stato e non assimilabili pertanto alle semplici associazioni all’interno dell’ordinamento dello Stato, si è tuttavia gradualmente giunti ad un nuovo orientamento, secondo il quale lo Stato è tenuto ad accertarsi che il diritto alla privacy, riguardante comunque tutti i cittadini, sia tutelato all’interno degli ordinamenti religiosi attraverso adeguate forme di autoregolamentazione: solo in assenza di esse può essere motivato un intervento suppletivo della legislazione statale. Questa dunque la soluzione adottata: per i dati sensibili, relativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che hanno contatti regolari con esse per finalità esclusivamente religiose, quando il trattamento avvenga all’interno delle stesse confessioni, non sono richiesti il consenso scritto dell’interessato e l’autorizzazione del Garante per il trattamento; le confessioni religiose, inoltre, mettono in atto autonomamente idonee garanzie in materia.

 

Si riporta al riguardo il comma 3, lett. a), dell’art. 26 del Codice: «Il comma 1 [che prevede il consenso scritto dell’interessato e l’autorizzazione del Garante per il trattamento dei dati sensibili] non si applica al trattamento dei dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che con riferimento a finalità di natura esclusivamente religiosa hanno contatti regolari con le medesime confessioni, effettuato dai relativi organi, ovvero da enti civilmente riconosciuti, sempre che i dati non siano diffusi o comunicati fuori delle medesime confessioni. Queste ultime determinano idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, nel rispetto dei princìpi indicati al riguardo con autorizzazione del Garante». Inoltre, per quanto attiene ai rapporti con gli enti di culto, il codice considera di rilevante interesse pubblico le finalità relative allo svolgimento dei rapporti istituzionali con enti di culto, confessioni religiose e comunità religiose (art. 72).

Altre specificazioni, infine, per quel che interessa le parrocchie, sono periodicamente emanate dal Garante. L’autorizzazione n. 3/2002 «Trattamento dei dati sensibili da parte degli organismi di tipo associativo e delle fondazioni», conferma l’obbligo per le confessioni religiose di determinare idonee garanzie relativamente al trattamento dei dati.

 

Per concludere, resta da accennare ad alcuni princìpi del «Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici ». Va premesso che l’osservanza del codice di deontologia costituisce la condizione essenziale per la liceità del trattamento dei dati. Il codice stabilisce che la libertà di ricerca e il diritto allo studio e all’informazione devono armonizzarsi con il rispetto del diritto alla riservatezza. Il codice nel suo complesso si pone come un insieme di regole-guida per disciplinare il comportamento degli archivisti (chiamati alla correttezza e all’imparzialità verso gli utenti), e degli storici relativamente alla raccolta, l’utilizzazione e la diffusione dei dati.

Che cosa prevede la normativa canonica

Nel Codice di diritto canonico il diritto alla riservatezza dei fedeli è tutelato con alcune disposizioni di ambito più generale ed ampio rispetto a quello del solo trattamento dei dati personali. In particolare il can. 220 stabilisce che «non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità».

Quanto alla gestione dei dati negli archivi, in particolare diocesani e parrocchiali, il codice si preoccupa di tutelare sia la necessaria riservatezza dell’azione della Chiesa, sia quella delle persone coinvolte. Sono presenti norme relative alla chiusura e alla custodia dell’archivio, e al diritto di accesso da parte degli interessati (cfr. can. 487); si prescrive l’obbligo dell’esistenza dell’archivio segreto, anche per un motivo di tutela della buona fama (cfr., per esempio, can. 489, § 2); circa gli archivi parrocchiali, se ne sottolinea l’esigenza di corretta custodia (cfr. can. 535, § 4). Vista l’esiguità delle statuizioni del codice, si è sentita l’esigenza in Italia di intervenire in sede di normativa particolare. La Conferenza episcopale italiana ha così emanato le «Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza», pubblicate con decreto del Presidente della cei del 30 ottobre 1999 ed entrate in vigore il 1° maggio 2000 (Notiziario della Conferenza episcopale italiana, n. 10, 1999, pp. 375-397): esso va tenuto presente come riferimento fondamentale in materia di privacy.

 

In particolare, il decreto dà disposizioni, all’art. 2, sulla tenuta dei registri (che si applicano anche ad altre tipologie documentarie: cfr. art. 3, § 1), con riguardo alla figura responsabile dei registri stessi, che coincide con il responsabile dell’ente (che, nel caso dell’archivio parrocchiale, è il parroco), alla possibilità di utilizzo di supporti elettronici, tuttavia non sostitutivi dei registri stessi, secondo opportune procedure (cfr. art. 2, § 1, e art. 3, § 2), all’accesso ai dati, al rilascio di certificati, alla richiesta di correzione o integrazione dei dati, a quella non accettabile di cancellazione dei dati, alla consultazione per ragioni di studio o di statistica. Come si vede esaminando l’art. 2 del decreto, la cei ha inteso disciplinare non soltanto il diritto alla privacy, ma anche il diritto all’accesso ai documenti, che è distinto dal primo, anche se per alcuni aspetti ad esso collegato.

Si segnala che il decreto rinvia, per la disciplina della tenuta e l’utilizzazione dei dati dei registri, oltre che alle norme canoniche, anche ad un regolamento che avrebbe dovuto essere approvato entro un anno dalla promulgazione del decreto stesso.

L’art. 4 disciplina invece la tenuta di elenchi e schedari, da intendersi come strumenti diversi ed aggiuntivi rispetto ai registri previsti dalla normativa canonica (per esempio, l’elenco dei ragazzi che frequentano la catechesi dell’iniziazione cristiana, che è cosa diversa dai registri dei sacramenti della prima Comunione o della Cresima). È da osservare che al § 5 – rinviando all’Accordo di revisione del Concordato del 1984, art. 7, comma 3 – si stabilisce che, qualora elenchi e schedari siano finalizzati ad attività diverse da quelle di religione o di culto, cioè alle attività non istituzionali degli enti ecclesiastici (per cui cfr. legge 222/85, art. 16, lett. b: «assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro»), ci si deve attenere alla normativa statale. Un esempio, da cui si desumono anche modalità di comportamento pratico nell’applicazione della normativa canonica e civile: se una parrocchia considera utile comunicare l’elenco dei ragazzi iscritti ai corsi di catechesi a una casa editrice o ad una associazione ricreativa, è opportuno che faccia un elenco a parte per il quale dovrà adempiere alle disposizioni della normativa civile quanto al consenso, all’informativa, alla sicurezza della gestione dei dati, ecc. La compilazione dei due elenchi distinti, per i quali si seguiranno le diverse normative canonica e statale, eviterà così di «trascinare» i dati raccolti per le attività religiose sotto la giurisdizione civile, se utilizzati per altri scopi.

Della conservazione dei dati, con norme sulla sicurezza degli ambienti e sull’inviolabilità degli archivi, si occupa l’art. 6; del segreto d’ufficio a cui sono tenuti responsabile ed operatori su tutti i dati trattati l’art. 7; dei dati da inserire in annuari e bollettini l’art. 8, mentre l’art. 9 riguarda la funzione di vigilanza sulla gestione dei dati personali spettante all’Ordinario diocesano.

 

La CEI aggiorna costantemente in materia di privacy. Indicazioni specifiche sono consultabili nel sito della CEI, alle pagine dell’Ufficio nazionale per i problemi giuridici, ove si mettono a disposizione i moduli del «registro dell’archivio » e della «lettera di nomina dei collaboratori».

Tali indicazioni sono state riprese, nella diocesi di Venezia, dalla circolare del Moderator Curiae ai parroci del 10 febbraio 2006, prot. 40/06.

Come comportarsi in pratica?

Per sapere come comportarsi nel trattamento dei dati personali, occorre innanzitutto avere ben presente la normativa civile e canonica qui brevemente rievocata.

È necessario, poi, esaminare i singoli casi per aver chiaro se essi ricadono sotto la giurisdizione civile o sotto quella canonica, e, una volta stabilito questo, svolgere tutti gli adempimenti previsti.

Inoltre è opportuno evitare, sia in ambito canonico che civile, di confondere con la privacy altri diritti di natura diversa, anche se ad essa in qualche modo connessi, come il diritto all’accesso ai documenti, il diritto a conoscere le motivazioni dei provvedimenti a proprio carico.

Alcuni esempi di comportamento pratico sono suggeriti ancora dal citato intervento di mons. Carlo Redaelli.

Si possono distribuire elenchi di partecipanti ad iniziative o organismi della parrocchia? Si valuta il singolo caso: ad esempio, è ovviamente sottinteso che chi è disponibile a far parte del consiglio pastorale parrocchiale accetta che il proprio nome sia noto alla comunità, già a cominciare dall’inserimento nella lista dei candidati, ma non necessariamente che anche l’indirizzo e il numero di telefono sia divulgato. Ancora ci si chiede se sia davvero opportuno distribuire l’elenco dei partecipanti ad un pellegrinaggio o ad una gita parrocchiale, con tutti i dati, ai partecipanti medesimi. Forse è preferibile lasciare che siano le persone stesse a scambiarseli spontaneamente se lo desiderano, piuttosto che sia la parrocchia a farlo.

Come comportarsi di fronte alla richiesta di autorizzazione speciale a consultare, per ricerche storiche o genealogiche, materiale documentario che supera i limiti cronologici consentiti e dunque spettante alla parte ancora «corrente o, quanto meno, di deposito» dell’archivio? Secondo l’Intesa tra la CEI e il Ministero per i beni e delle attività culturali del 18 aprile 2000, l’autorità ecclesiastica competente si impegna a disporre l’apertura alla consultazione degli archivi di interesse storico, identificati con quelli contenenti documenti che hanno più di 70 anni. Tale normativa viene usualmente confermata a livello diocesano. Per la diocesi di Venezia il «Regolamento dell’Ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici, Sezione archivi ecclesiastici, del Patriarcato di Venezia» del 2 giugno 1996 (in «Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia», n. 12, dicembre 1996), riporta qualche indicazione anche riguardo alla parte «corrente» dell’archivio, che fa seguito a quella «storica» con una distinzione puramente convenzionale. In questo testo si ribadisce che «in linea di principio possono essere consultati solo i documenti anteriori agli ultimi 70 anni» (art. 45, lettera a) e che «i documenti del foro interno non sono consultabili prima che siano trascorsi cento anni» (art. 45, lettera b), ove l’espressione «in linea di principio» sembra aprire all’eventualità di speciali autorizzazioni in deroga al limite cronologico, rilasciate, si presume, dopo attento esame della singola richiesta e del materiale oggetto della stessa. Una conferma a questo tipo di procedura sembra venire anche dall’art. 39 dello stesso regolamento ove si legge: «La consultazione di documenti definiti come riservati può concedersi da parte del Responsabile dell’Archivio, sentito, se del caso, l’Ordinario o il competente Superiore». Riferimento generale per gli archivi correnti rimane, comunque, la normativa della CEI.

Nella predisposizione di moduli di iscrizione alle attività della parrocchia (ad esempio, i corsi di catechesi) è necessario apporre una frase del tipo: «Si autorizza il trattamento dei dati sopra indicati»? Se si tratta di attività istituzionali della Chiesa, che ricadono nell’ordinamento canonico è meglio utilizzare una frase del tipo: «I predetti dati saranno trattati secondo le disposizioni canoniche vigenti». Invece se si tratta di attività estranee all’ambito canonico, si dovrà non solo apporre la formula civile sui moduli, ma anche svolgere tutti gli altri adempimenti richiesti dalla legge.

I dati relativi ad un’attività ricreativa interna al patronato rientrano nei compiti istituzionali della parrocchia e, pertanto, sono soggetti all’ordinamento canonico; mentre se l’attività è svolta ad esempio attraverso un’associazione sportiva, si è fuori dell’ordinamento canonico e gli adempimenti di legge sono a carico dell’associazione e non della parrocchia.

È possibile chiedere all’anagrafe comunale i dati sui residenti nel territorio della parrocchia? Secondo le indicazioni del Garante, i Comuni possono comunicare dalle anagrafi solo alcuni dati limitati, per fini statistici e di ricerca, a soggetti diversi da enti pubblici. È però possibile avere copia delle liste elettorali, che sono pubbliche.

Quanto alla distinzione fra privacy ed altri diritti, come valutare, ad esempio, la richiesta di cancellazione dal registro dei battesimi? Dietro ad essa si manifesta, in realtà, l’intenzione di richiedere l’uscita formale dalla Chiesa cattolica, possibilità prevista dal diritto canonico e dal Codice della privacy, con conseguenze anche nel trattamento dei dati (la persona non deve più essere considerata parte della comunità, non deve più ricevere avvisi, bollettini parrocchiali, inviti, ecc.). Altra cosa è l’evento storico del battesimo, che non può essere cancellato, anche solo per motivi storici. D’altra parte, la conservazione di tale registrazione non lede alcun diritto della persona, dal momento che ne viene bloccato l’utilizzo; piuttosto la sua cancellazione farebbe violenza alla verità storica e lederebbe il diritto di altre persone che hanno partecipato all’evento: ad esempio quello dei genitori, di cui deve essere tutelata la scelta compiuta a suo tempo di far battezzare il figlio, o il diritto della comunità ecclesiale a conoscere chi vi appartiene o vi è appartenuto e potrebbe ritornarvi, con le relative conseguenze giuridiche.

Dettagliate istruzioni sono state fornite ai parroci veneziani con la predetta circolare del Moderator Curiae, circa la necessità di trasmettere tempestivamente alla cancelleria la richiesta di cancellazione dal registro dei battezzati, al fine dell’emanazione di un apposito decreto da parte dell’Ordinario.


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